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Sicurezza e Colpevolizzazione: Un Imperativo Sociale Oltre le Semplici Ammonizioni

L’impronta culturale che fa da palcoscenico a questo dialogo è carica di vecchi retaggi, ma anche aperta, se solo lo vogliamo, a una nuova comprensione. È facile cadere nella trappola della semplificazione quando si affrontano temi complicati come la sicurezza personale e l’abuso. Ma dare consigli per evitare il pericolo, soprattutto in un contesto pubblico e mediatico, spesso si trasforma in una subdola forma di colpevolizzazione della vittima.
Nel dibattito pubblico, dobbiamo alzare il livello della conversazione. Non possiamo più permetterci di sfuggire alla responsabilità collettiva in favore di consigli individualistici. La sicurezza non è un onere che grava sulle spalle delle singole persone; è una responsabilità condivisa, radicata nella tessitura stessa della nostra società. In uno spazio mediatico, come quello occupato da Giambruno, il linguaggio e le idee non sono neutri. Essi contribuiscono a plasmare la percezione pubblica, ad alimentare stereotipi, a rafforzare pregiudizi. Parlando di “ubriachezza” come fattore di rischio, per esempio, si passa il messaggio implicito che chi si trova in stato di vulnerabilità è in qualche modo colpevole di quella stessa vulnerabilità. E veniamo al nocciolo del discorso: la temporalità delle parole. Esiste un tempo e un luogo per ogni conversazione. Quando il tessuto sociale è straziato da un crimine orribile come uno stupro di gruppo, la sensibilità e la responsabilità dovrebbero guidare ogni dichiarazione pubblica. Parole sbagliate in un momento così delicato possono infliggere ulteriore dolore alle vittime e deviare l’attenzione dai reali problemi.
Ecco la questione: la sicurezza non è solo un dovere personale, è un imperativo sociale. Non si tratta di individuare modi per far sì che le vittime si proteggano meglio, ma di lavorare insieme per creare una cultura in cui l’abuso non possa trovare terreno fertile. È un obiettivo ambizioso, certo, ma ne vale la pena. E come in ogni grande sforzo, la prima pietra da posare è l’empatia, seguita dalla consapevolezza e dalla responsabilità.

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