≡ Menu

io?

Nella penombra di una stanza fumosa, uomini assorti nell’eco dei doveri terreni, danzano sulle note del tintinnio delle monete. Un raggio di luce, simile a un fiume di oro, irrompe dall’esterno, squarciando l’oscurità, ed è allora che l’ordine consueto delle cose viene sconvolto.
Da un angolo, un gesto, semplice ma carico di significato, emerge dalle ombre: un dito indicatore, esteso come ponte tra il divino e l’umano. È un comando muto, un invito che non ha bisogno di parole per farsi capire: “Seguimi”.
Al centro, un uomo siede, assorto nel conteggio delle monete. Alla luce dell’invito, il dito si punta verso di sé, esprimendo un incredulità tanto profonda da sembrare una domanda senza risposta: “Io?” È in questo gesto, in questo attimo di perplessità, che si svela l’essenza stessa dell’umanità.
In quel brusio di monete e di vita, ecco che l’immortale bussa alla porta del mortale. Un lampo di grazia in una notte di peccato. E noi siamo lì con lui, nel suo stupore, nel suo dubbio. Possiamo percepire il calore del raggio dorato che accarezza la sua pelle, possiamo percepire il tremore della sua mano mentre indica se stesso.
Nell’oscuro profondo, la luce risplende, danza su volti e mani, svela ciò che l’ombra vorrebbe celare. E la domanda sussurrata nel silenzio della stanza è questa: “Chi è degno? Chi è chiamato?” E nel cuore del quadro, la risposta viene sussurrata come un segreto: anche il più umile, il più peccaminoso, può essere chiamato alla luce.
Il quadro ci invita a fare i conti con noi stessi, con le nostre vite quotidiane, con i nostri peccati e le nostre aspirazioni. Ci chiede: “Sei pronto? Riconosceresti la chiamata se arrivasse?” E ci lascia con il dubbio, con l’eco di un invito che risuona nella nostra mente, con la domanda che, come una melodia, continua a suonare: “Io?”.

{ 0 comments… add one }

Rispondi