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Chiaro, no?

Italia

Le sentenze – è in uso dire – vanno rispettate, sempre, anche quando sono considerate ingiuste. Rispettate, senz’altro. Ma criticabili, pure.
Senza però star qui a farla troppo lunga – ché qualcuno poi ci legge un dappiù di malizia da parte mia nel voler, magari, aggirare un ostacolo sopravanzando il legittimo diritto –, da quando la Cassazione ha stabilito che l’espressione “paese di merda” configura reato di vilipendio alla nazione, io mi limito a pensarlo, ma m’impongo, anche con la forza, contravvenendo ai miei principi morali di liberà di esprimere le mie opinioni sempre e comunque, m’impongo, dicevo, di non venir qui a scrivere “questo è un paese di merda”. Mi costa, lo ripeto, enorme sacrificio, ma la legge è legge; e dinanzi alle disposizioni dell’Alta Corte, m’inchino umilmente e mai, dico mai, mi troverete più a scrivere “paese di merda”, mai. Rinuncio anche a imbastir un minimo di ragionamento a sostegno della tesi che la definizione sia perfettamente calzante al nostro Paese. Ci rinuncio non foss’altro per evitare di dover utilizzare giri e giri di parole per non contravvenir al divieto di citare palesemente l’espressione tra virgolette. Chiaro, no?
Premessa che sarebbe superflua, questa, se il Paese, questo Paese, non fosse quello che è. Paese in cui è permesso, con disarmante superficialità, aggirare le leggi dello Stato a tutti e a tutti viene offerta, poi, un’interpretazione comoda a parargli il culo; un Paese questo in cui un delinquente pregiudicato ancora ha la possibilità di dire le sue idiozie in tv davanti a milioni di telespettatori; un Paese questo in cui a un altro viene offerta la possibilità di candidarsi in barba a disposizioni dello Stato, salvo poi sputtanarlo con una lista la cui legittimità viene poi disconosciuta dagli stessi organi che ne hanno voluta la legittimità.
Ecco, e qui mi fermo: quale migliore definizione – chiedo ora – per un Paese in cui questo (e molt’altro) può accadere? Chiaro, no?

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