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Scrivere è un viaggio senza fine…

La scrittura, vien da pensare, si specchia nelle acque di due laghi opposti: uno la raccoglie come un giocattolo, come una medicina per le ferite dell’anima; l’altro la custodisce come il senso segreto dell’esistenza, la giustificazione silenziosa di tutto quello che è. Tra i due, sta l’oscillazione del pensiero.
Per certi, scrivere è un tocco leggero, un tratto di matita su un foglio bianco che aiuta a sopportare il peso del mondo. Le parole scorrono come acqua tra le dita, alleviano le pene dell’esistenza, le raccolgono in versi e prosa e le restituiscono al mondo in una forma più dolce. Un antidoto alla crudeltà del tempo, un modo per imbrigliare la tempesta che sconvolge il cuore. Si scrive per liberare l’anima, per lenire il dolore, per ritrovare il filo della trama smarrita della vita.
Ma, come una monetina gettata in aria, l’altro lato della medaglia mostra un volto diverso della scrittura. È lo specchio in cui l’esistenza si riflette, un mezzo per raggiungere il cuore del mondo. Scrivere è un atto di ribellione contro l’effimero, un desiderio di lasciare una traccia, un segno indelebile nell’eternità. È la ricerca di un significato più profondo, il tentativo di comprendere l’incomprensibile, di dire l’indicibile. È la penna che si muove sulla carta, la mano che danza con le parole, il pensiero che si fa strada nella notte.
Nella sua ambizione di durata, la scrittura si contrappone alla vita stessa, quell’incidente fugace che scompare come una bolla di sapone al vento. Le parole restano, appiccicate su una pagina, mentre la vita si dissolve come un sogno al risveglio.
Si potrebbe dire che la scrittura è un gioco, un passatempo, ma anche una missione sacra, un modo per affrontare la vita e per darle un senso. Eppure, nella sua oscillazione, non trova una conclusione, non si assesta in un luogo definitivo. Scrivere è un viaggio senza fine tra il gioco e il sacro, tra il sopravvivere e il dare un senso.
E noi, che oscilliamo tra questi due poli, sappiamo che non c’è fine. Non c’è risposta definitiva al dilemma della scrittura. Solo l’oscillazione, solo il movimento. E nel mezzo, la penna che continua a scrivere, l’anima che continua a cercare, la vita che continua a fluire.
E così, in questa danza senza fine, siamo sospesi tra l’essere giocattoli e cercatori di senso, tra la medicina della scrittura e la sua ambizione di durata. E in questa sospensione, in questa oscillazione, troviamo la bellezza dell’incertezza, la meraviglia dell’ignoto, la gioia del viaggio. E forse, alla fine, è questo che conta.

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