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Questo vagar mio breve, / Il tuo corso immortale?

  
Mentre la maggior parte di noi boccheggia nel grande caldo di questi giorni, su Plutone le cose vanno decisamente meglio: la temperatura media è di -228 °C. Il Sole, visto da laggiù, è null’altro che una delle tante piccole stelle che trapunta il cielo notturno: puntino luminoso a rischiarar la notte.
Per arrivarci, la sonda americana New Horizons ha impiegato nove anni e mezzo: niente, se paragonati ai 248 anni scarsi che il pianeta impiega per compiere la sua orbita di 36.5 miliardi di chilometri intorno al Sole.
Godersi le foto di quel pianeta da vicino – le fotografie ad alta risoluzione ci consentono di vedere dettagli come se sorvolassimo Plutone con un aereo di linea – ha insito qualcosa di magico e, al contempo, di terribilmente realistico: l’immagine giallo-rosa di Plutone riesce a trasmette l’emozione dell’autentico, il brivido del viaggio e l’azzardo dell’ignoto fino alle porte dello spazio profondo.
Eppure, il volto di Plutone non è poi molto diverso da quello che vediamo ogni notte alzando gli occhi alla sfera celeste: anche il nostro satellite naturale, la nostra amata Luna, è nient’altro che un disco butterato di crateri e vulcani, solcato da catene montuose e crepacci, attarversato da vallate e ampie pianure; panorama desolato e senza vita. Un po’ come se il nostro unico satellite naturale fosse lì, ogni notte, a mostrarci la desolazione dell’universo e per suggerirci, se non l’unicità, certo l’eccezionale straordinarietà del nostro pianeta: unico, tra quelli del sistema solare, che visto dallo spazio si mostra vestito di un ammaliante blu.
Così, continueremo ad esplorare l’universo fino alla fine dei (nostri) tempi, secondo il nostro destino di ulissidi: e ogni volta che scopriremo un’altra luna inospitale torneremo a casa con una lieve inquietudine, e un poco sbigottiti.

  

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