Avessi una spada e un toro agonizzante pieno di banderillas sul groppone potrei finirlo per un senso di pietà e misericordia — lo stesso tipo di compassione che mi assale se vedo un insettucolo claudicante che si dimena a terra; che faccio lo schiaccio oppure resisto nel lago d’indifferenza, l’essenza della disumanità che alberga calmo nel mio cuore? Lo schiaccio, anche se poi generalmente, un attimo dopo mi pento di aver preso simili decisioni demiurgiche. Chi sono io per occuparmi della vita altrui? Già fatico a occuparmi della mia, incastrato in tutta quella monotona serie di attenzioni che servono per mantenere un precarissimo equilibrio omeostatico, tra il dare e il prendere, l’avere e l’essere, il mangiare e il defecare. Una fatica!
«Forse / che di sedere in pria avrai distretta!». Starsene rannicchiati «come l’uom per negghienza a star / si pone» e attendere, purgarsi, indifferente al peso degli anni. Tanto, a poco a poco, un giorno dopo l’altro, il paradiso, vedrai, arriverà. (Forse.)
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