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perché la morte ha questo di disperato

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Credo che il matrimonio sia cominciato cosí: che mischiammo i libri. Che i volumi di meccanica razionale smisero di stare ciascuno da un lato, lí dove avevano trovato spazio, guardinghi, attenti a ripartire appena non fosse piú stata cosa: e andarono a vivere assieme. (Le nostre prime cene erano tutte cosí, cercavamo di incontrarci nel passato: «Quando tu hai fatto Analisi 2 con Mittone, il suo assistente era Gallo, e tre anni dopo io ho fatto l’esame con Gallo»). Si mischiarono due edizioni diverse dello stesso testo, e si incontrarono i classici di scuola, e due fratelli nati a distanza di un’edizione de La fisica di Berkeley. E furono inventati dei settori: «storia locale», «politica», «poesia», le cui etichette esistevano solo nelle nostre teste, e adesso che lui è morto esistono solo nella mia, perché la morte ha questo di disperato: che si resta unici testimoni di qualcosa, dei patrimoni invisibili, delle giornate spettacolari.

– Valeria Parrella, da Almarina.

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