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Spatium…

Tra i pittori che ammiro, Marc Chagall, nato Moishe, occupa sicuramente un posto di rilievo. Fin da bambino desiderava dipingere, ma era povero ed ebreo, in una cittadina ostile dell’Impero Russo. Nei suoi diari, si possono leggere i suoi sforzi per imparare, caratterizzati da uno spirito critico e da un forte desiderio di indipendenza.

I suoi primi incarichi retribuiti furono immagini pubblicitarie per negozi, quali insegne colorate appese al mercato, davanti a macellerie o fruttivendoli. Per Chagall, questa fu la sua prima esposizione, all’aperto e anonima. Il suo apprendistato continuò a San Pietroburgo, Parigi e poi negli Stati Uniti come profugo di guerra. Fu un percorso lungo e laborioso.

Credo fermamente nella necessità di un graduale avvicinamento dell’artista alla sua arte. Non credo nel talento come scorciatoia allettante, poiché può ostacolare e arrestare lo sviluppo con l’illusione di possedere un dono. Quello che si possiede è una vocazione che può coincidere con una totale dedizione all’opera, come accadde per Cézanne.

Il cinema italiano del dopoguerra raggiunse livelli eccellenti grazie alla vasta esperienza teatrale dei suoi protagonisti. Oggi, l’accesso immediato alla visibilità attraverso gli schermi illuminati annulla la progressione graduale verso l’espressione artistica, dando un falso senso di gratificazione e autoinganno.

Un proverbio delle mie parti dice che ci vuole tempo e pazienza per far maturare le nespole. È necessario anche prendere il largo. In latino, “spatium” significa sia la misura di uno spazio che la durata del tempo. Chagall riempì la sua arte con questa doppia dimensione spaziale e temporale.

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