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…ritrovarsi a vivere un poco di noi stessi.

Dona Flor e i suoi due mariti

Jorge Amado, un uomo come la terra che racconta, forte e generoso, figlio di quella porzione di mondo chiamata Brasile. Scorre il 1912 e lui giunge al mondo, e ne sarà parte fino al 2001. Nelle sue vene, il marxismo prima, poi l’umana necessità di raccontare gli ultimi, gli invisibili.

“Dona Flor e i suoi due mariti” è un racconto dove il quotidiano si fonde con l’incredibile, dove la Bahia diventa un palcoscenico per le storie che Amado vuole raccontare. Ci presenta Flor, vedova che convola a nuove nozze, ma che nelle notti vede il fantasma del primo marito, un uomo che della vita aveva assaporato ogni briciola, ogni peccato.
La storia, come un fiume che scorre lento, prende tempo, s’insinua tra le pagine con la delicatezza del vento che muove le fronde degli alberi. E così come l’acqua non può negare la sua natura, così Amado non può non parlare di quel Brasile che è in lui, delle sue genti, dei suoi colori, dei suoi suoni.
Ecco allora Flor, l’emblema di una dualità che ci appartiene. Una donna tra due uomini, il vivente e il morto, il sicuro e l’appassionato, il giorno e la notte. È in questa tensione che si snoda il racconto, in quest’equilibrio precario che è specchio della vita.

Nel tratto di Amado, si avverte il ritmo della sua terra, lo scorrere del tempo scandito dal battito del cuore, il sapore della vita nelle sue molteplici sfumature. Non è un narrare, è un vivere le storie, è un assaporare le parole come fossero frutti maturi pronti per essere colti.
E così, ci ritroviamo a danzare tra le pagine di “Dona Flor e i suoi due mariti”, dove ogni parola è un passo, ogni frase un movimento, ogni personaggio un danzatore. Siamo lì, nel cuore della Bahia, a vivere con Flor, a lottare con lei, a sognare con lei. E forse, senza che ce ne accorgiamo, ci ritroviamo a vivere un poco di noi stessi.

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