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L’ossessione di Marc Riboud…

Marc Riboud. Un nome che risuona come una melodia, un canto di luci e ombre immortalate sul nastro della pellicola. Riboud è una creatura di sensibilità e silenzio, di viaggi che portano oltre i confini del visibile. Riconosciuto universalmente per la sua maestria nell’arte della fotografia, Riboud nasce in Francia nel 1923. Come un albero affonda le radici nella terra natia, così Riboud pianta i semi della sua arte nelle viscere di una nazione lacerata dalla guerra.

La sua macchina fotografica diventa l’occhio attraverso il quale il mondo può vedere se stesso, e il suo lavoro, una danza di luci, ombre, e dettagli nascosti. Riboud usa la sua Leica come un pittore usa il pennello, delineando con precisione i contorni del mondo in bianco e nero. I suoi scatti sono come poesie visive, liriche che raccontano storie di guerra, di pace, di vita quotidiana.

Riboud non segue le regole del gioco. Non si accontenta di catturare l’immagine; vuole anche catturare l’essenza di quel momento, la vibrazione silenziosa dell’attimo che passa. La sua tecnica è una combinazione di attesa paziente e decisione rapida: osserva il mondo con occhi affamati di bellezza, e quando il momento arriva, non esita a premere il pulsante dello scatto.

La sua arte è un viaggio. Non solo nel senso fisico, ma anche spiritivo. Non si limita a documentare, va oltre, esplora l’umanità in tutte le sue forme, i suoi contrasti, le sue contraddizioni. Riesce a catturare l’effimero, il sublime, l’ordinario e l’eccezionale, tutte le sfumature dell’esperienza umana. Le sue fotografie diventano finestre sul mondo, specchi dell’anima che riflettono la realtà in tutte le sue complessità.

E poi c’è quella foto, “La ragazza con la fioritura”, che divenne l’icona della resistenza alla guerra del Vietnam. In essa, Riboud condensa tutta la sua filosofia artistica: la semplicità del gesto, la forza del messaggio, la bellezza della giovane donna che sfida l’aggressività del mondo con un fiore in mano.

Sul finire della sua vita, Riboud rifletteva sul suo viaggio, un percorso ricco e fecondo, disseminato di immagini che rimarranno impresse nella memoria collettiva. Riboud non era solo un fotografo; era un testimone del tempo, un narratore visuale che, con la sua macchina fotografica, ha saputo raccontare la storia del ventesimo secolo.

E così, la macchina fotografica si spegne, ma l’immagine rimane, nitida come la prima volta, testimone di un’epoca, di un artista, di un uomo che ha saputo vedere oltre. Marc Riboud, un occhio attento e sensibile, un cuore pulsante di umanità, un artista che ha dipinto il mondo in bianco e nero.

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